lunedì 7 dicembre 2009

Epistola n°2 (da camera mia col pigiama, ma scritta ieri in faccia al camino a casa di mia nonna. No, non puzzo di fumo.)






Caro peppe,
quella sera che mi accompagnasti a casa, quella sera, insomma, che volevi schiacciarmi le gocce di pioggia sul cappotto (come mi dicesti poi) parlammo, come quasi sempre, delle percezioni, delle reti attorno al cuore, delle persone,degli occhi.
E ti parlavo, io lo so, io parlo troppo. A volte dovrei trattenermi. Mettere meno voce in gioco, meno fiato, perdere meno pezzi. Dopo le epifanie improvvise, lo vedi, rimango sempre monca. Ma ho una buona struttura fisica, sono forte, dicono. Per cui rimango sempre in piedi, dicono. Come i gatti, pensa. Quindi parlavamo delle persone, delle cose che io faccio con le persone.
E ricordo precisamente che a un certo punto mi hai fermata con i palmi delle mani aperti e mi hai detto: ma forse, non vorrei insistere, eh, ma forse ci pensi che magari le persone...che l'essere umano, che forse ti sbagli, che magari non sono intelligenti come tu vorresti che fossero? Ci pensi che non sono belli come tu vorresti vederli?
E quindi questa tua domanda l'ho recuperata sabato sera dopo le dieci, l'ho riascoltata e me la sono appesa al collo.
Do un peso a tutto, a volte questo peso mi finisce sulle spalle. Io mi stanco.
E mi stanco anche a raccontarle le cose che mi stancano, che mi sfiniscono. Quindi non posso difendermi. NOn lo farò nemmeno adesso e non l'ho mai fatto perchè non sono in grado di muovere per troppo tempo lingua e bocca.
Io non ci sono, non ora. Non per come mi si vede. Non adesso, ecco. Ho un'idea troppo alta dell'umano e dei cuori e degli occhi. A questo punto, vi prego, non mi toccate i fianchi.
Li vorrei tutti puliti, col sapore di sapone.
Vorrei che fossero capaci di salvarsi, ecco.
Poi le cose si vivono, le persone si guardano, le cose si realizzano.
In questo io fallisco perchè non vedo bene.
E non è perchè, come ti chiedevi qualche giorno fa, sono affrettata nei giudizi. è solo la pancia. A volte non ragiono, non mi ascolto bene. Mi rifiuto di vederle quelle cose fastidiose che mi creano disagio e imbarazzo di fronte al mio interlocutore e dico: no, non è niente e così passano gli anni e all'improvviso la bruttura ti salta in faccia, ti rovina il sorriso e non recuperi più niente.
Perchè lo faccio? E perchè non farlo, peppe?
Quella che io ,stracciandomi i vestiti, rincorro è un' immagine ideale della vita. Ma qui attorno a me, lo vedi pure tu, si agita il reale nella sua forma più oscena e io dove posso nascondere la faccia?
Basterà mettermi le mani in tasca e camminare a testa bassa?
è questo che mi stanca.
Questo non riuscire mai per davvero a far entrare nessuno e quando ci riesci (come nel caso di una persona che ha una voce che mi suona splendida e che io e lui ci teniamo lontani perchè poi si muore affogati nelle cose che si sgonfiano, tu vedi che razza di discorsi e dimmelo se non sono veri, tanto non ti crederò, permettimelo)
Io chiudo le porte e mi spavento per il rumore troppo forte.
E mi nauseo, peppe, io mi nauseo ancora per le incoerenze, per le brutture, per come certi corpi si sfasciano, per le tinture, per i trucchi, per la grossolanità di certi gesti, di certi ascolti, per ligabue, per come certe cose avrei potuto prevederle, per la mediocirà, mi nauseo per l'ingenutià che non è ingenuità. L'ingenuità pura è bellissima:è Goethe che chiama la donna ideale Carlotta.
Non chi non riesce a correre per salvarsi. Quello è uno stato di comodo e io mi voglio mettere le mani davanti agli occhi.
Pensaci, pensaci a sta gente che non sa muoversi.
Io per questo fallisco.
Questa è la mia incapacità.
Ma è davvero soltanto mia?
Ecco, questo voglio contestare oggi. E per questo non mi difendo. dai mostri non ci si difende. I mostri si lasciano appassire.
Avevo solo bisogno di dirti che chi nasce tondo non muore quadrato. Solo questo. Poi torno a scrivere altre cose.

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