domenica 8 novembre 2009

Epistola n°1










Caro Peppe,
sono qui al corso di filosofia del linguaggio e seguo il tutto molto distratta. oggi è il mio primo giorno di università, ma mi sono svegliata tardi, pertanto considero anche questo giorno come un fallimento del mio progetto di rieducazione di me stessa. Comincerò quindi domani. Dunque rettifico: oggi non è il mio primo giorno di università, oggi non è niente. oggi è solo un giorno che piove.
Ieri, ma come anche l'altro ieri ( che poi non lo so collocare precisamente in una data stabile che ci dica qualcosa) parlavamo della gente, della percezione.
Ti dicevo di un pensiero, di una considerazione, di un giudizio sulla mia persona che è arrivato come una scarica di grandine sulla mia schiena nuda e magra. Ma è effettivamente magra la mia schiena? Posso dirlo io da sola? Chi potrà confermare questa mia valutazione?
Caro Peppe,
sono anche un pò stanca e poi io non lo so più come funzionano le cose, i fatti, gli eventi, le persone. Sono tutte cose. puoi prenderle, mettertele in bocca, bavarci sopra, toccarle, sentirne il sapore, perderle. Puoi perderle, le cose.
E qui attorno a me (ma poi ci pensi che sto scrivendo su un quadernone e dopo quando tornerò a casa,riscriverò tutto sul blog affinchè tu lo legga, affinchè tutto si perda?) qui le persone parlano. ogni tanto mi arriva in faccia lo sputo di una parola che non capisco, di nomi che non mi appartengono che mi dicono solo: qui non è niente, non è ancora niente.
Io non credo che la vita scorra, io credo nei singhiozzi del momento, nei singulti e nei riverberi che continuano. nelle stanze che tremano, nella letteratura che non significa niente.
Io dico un sacco di volte io, lo so. Ma qui mi sembra che ci sia solo questo io e non significa che io sia concentrata solo su me stessa, che io guardi solo me. Ma hai idea di quanto poi pesino queste parole sui cuori, sulle spalle, sulla pancia?
Io ci sono, no? tu pure, mi pare e chiunque altro, anche se poi c'è chi crede il contrario e si tira le coperte fino alla testa per non vederlo il buio quando la madre entra un attimo in camera e dice buonanotte, amore e poi chiude la porta con un tonfo che fa tintinnare i denti. E quindi se ti metti le mani tutte e due sulla pancia, senti quel gorgoglio di vita che a volte fa paura. fa paura il pensiero: ma che c'è dentro? E quanti mostri si muovono simultaneamente?
Ci pensi mai? Ci pensi, dico, alla gente, a quanti le mani sulla pancia non le poggiano mai?
E lasciamo stare, per cortesia, le madri e i gigli e le canzoni degli stadio che partono dal mio materasso la notte sul tardi ed è in quel preciso istante che io comincio a tremare. E sono ancora capace di fare dell'ironia.
Quindi, tralasciamo per un secondo anche le citazioni da De Andrè che le recupereremo poi.
Per il momento, ecco, facciamo conto che si salga su una cima, ci si metta seduti scomodi.
E si guardi poi da qualche parte.
Mi pare che io esisto nella misura in cui il vento ha ancora la forza di graffiarmi la faccia.
Come al solito non ho detto niente perchè da giorni, lo sai, non ho fame.
E questo è quanto.
me ne vado, apro l'ombrello.
Semplicemente ho sulla faccia la bombetta di Charlot perchè nemmeno oggi ci volevo essere.
E dico sempre le stesse cose, ma la notte continua a piacermi, le telefonate, la sua voce lontana che mi sa di vendemmia e bambini coi piedi nel mosto.
Sono quelli i momenti in cui mi sento viva e m'addormento poi.
Domani.
ora oggi, delle cose, per cortesia, peppe, parliamone.

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